martedì 23 luglio 2013

Note sull'antifascismo di terra jonica

martedì 7 maggio 2013


Note sull'antifascismo di terra jonica

"Note sull' antifascismo di terra jonica"
di Roberto Nistri

© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati.

Il testo riproduce parte delle relazioni tenute dall'autore in una serie di dibattiti organizzati dallo SPI-CGIL, il 26-27-28 aprile 1983  negli incontri tenuti presso il Circolo Ilva con studenti degli istituti superiori, il 29 aprile nell'Assemblea dei lavoratori dell'Arsenale della Marina Militare.

Una comprensione scientifica del passato non può comportare una amnistia generalizzata, anzi se amnistie possono essere legittime da un punto di vista politico e giuridico, non lo sono affatto dal punto di vista della storia, che deve inchiodarc individui e gruppi alle loro responsabilità.
Crediamo che lo storico debba studiare gli eventi con la massima scrupolosità, comprendendo le ragioni degl uni e le ragioni degli altri, ma non per questo ci sentiamo di porre sullo stesso piano la vittima e il torturatore, la violenza dello schiavista e la violenza che lo schiavo esercita per liberarsi. Possiamo ben comprendere le ragioni del potere romano e quelle delle autorità giudaiche  ma, diciamolo francamente, una delle immagini - cardine della nostra civiltà è quella di un uomo in croce, quella croce che era la condanna degli schiavi, dei poveracci, degli ultimi. Comprendere sì, oggettivamente, la storia. Ma cosa comprendiamo, se dimentichiamo che la storia è lo sforzo dell'uomo per liberarsi dalla croce dell'oppressione, dell'intolleranza, dello sfruttamento?
Non possiamo accettare una storiografia alla Ponzio Pilato che, auspicando il superamento dell'antifascismo e l'avvento di una società deideologizzata, favorisce solo l'asservimento dell'uomo alla rivoluzione tecnologica e il culto feticistico del mercato e del più squallido consumismo. Lo studio della storia non deve pacificarci qualunquisticamente dicendo che siamo tutti della stessa pasta, ma deve anzi servire a tener fermo un criterio di giudizio, che nasce dalla storia stessa: un criterio forte scritto col sangue di 50 milioni di vite umane. Non abbiamo le idee chiare su cosa sia il bene, ma quei 50 milioni di morti nell' Apocalisse scatenata dal nazifascismo ci indicano con chiarezza cosa è il male.
Ci premeva svolgere queste considerazioni, proprio per chiarire il forte impegno civile, che ha caratterizzato la recente ricerca storiografica sulla città di Taranto, una città che particolarmente ha sofferto di amnesie, cbe ha devastato la propria memoria storica, illudendosi che si possa conquistare il nuovo soltanto perdendo l'antico. Una città che è stata attraversata dai miti del più acritico e vorace consumismo, oggi comprende che per conquistarsi un futuro sensatamente progettato, deve recuperare
e valorizzare la propria memoria e i segni del passato. Una memoria che dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni è senz'altro quella di una robusta tradizione antifascista, della quale dobbiamo essere orgogliosi. Dovremmo riscoprire tutto l'antifascismo meridionale, che è stato appannato dalla più vistosa presenza del fenomeno resistenziale e poi marginalizzato da una storiografia ruotante sull'asse Roma-Milano. Resistenza ed antifascismo finirono per coincidere ma non sono la stessa cosa: il secondo contiene il primo. L'antifascismo è un movimento più vasto politicamente e anche territorialmente più esteso. La Repubblica è nata dalla Resistenza ma è stata preparata dall' Antifascismo che, minoritario e diversificato, ha comunque avuto una presenza in tutta la penisola. 
Dopo 40 anni abbiamo potuto ricostruire una prima storia dell' antifascismo tarantino: in una città promossa dal fascismo capoluogo di provincia e che godeva economicamente, attraverso l'Arsenale, di tutta una strategia di rilancio della produzione bellica, in questa "Taranto città tre volte fascista" , "perla del regime", l'antifascismo non ha mai smobilitato un momento, profondamente radicato nel cuore della classe operaia. E parliamo di classe operaia, perché gli elenchi dei perseguitati dal Tribunale Speciale forniscono quasi tutti nomi di umili lavoratori: a Taranto, e questo è un elemento storico di grande importanza per comprendere le evoluzioni successive. Non c'è stato un antifascismo borghcse e intellettuale, ma solo un antifascismo proletario, caratterizzato da una tensione più sociale che non ideologica, attaccato a quella solida tradizione di organizzazioni operaie che era stata violentcmente smantellata dal fascismo (un fascismo che, è bene ricordare la sua peculiarità nel quadro meridionale, è nato prima in città per poi svilupparsi nelle campagne).
Dall'assassinio dell'operaio del Tosi Raffaele Favia, nel luglio del ' 21, si snocciola tutta una sequenza di attentati e di persccuzioni da parte di uno squadrismo protetto dal prefetto, armato dalle autorità militari, foraggiato dai galantuomini locali. Le camere del lavoro vengono incendiate, le avanguardie sindacali dei cantieri Tosi vengono licenziate, il 28 aprile del '22 gli squadristi uccidono il comunista Giuseppe Migliaresi, poche settimane prima della marcia su Roma viene assaltata a colpi di pistola e di bombe a mano la casa del leader Odoardo Voccoli. Il fascismo trionfante esalta il ruolo di Taranto come piazzaforte militare, lega a sé i ceti medi, ma non riesce a trovare consenso negli ambienti operai che, pur condizionati dalla struttura statal-militare della produzione, non prenderanno mai la tessera del PNF. Con gli arresti del ' 26, l'organizzazione operaia viene decapitata, ma le radici rimangono profonde e vigorose.
Il comportamento rigoroso e intransigente tenuto dagli antifascisti in carcere, trova una testimonianza esemplare nella figura del dirigente comunista Odoardo Voccoli, condannato a 12 anni di carcere, che mai conosce un momento di cedimento, malgrado lo sfascio economico della sua famiglia e la persecuzione nei confronti dei suoi figlioli uno dei quali, Todol, morirà in carcere (come in carcere muoiono i fratelli Alessandro e Federico Mellone). Dopo il verdetto, scrive alla compagna Assunta: "I deboli si accasciano, chi viene colpito per la sua fede non deve impallidire dinanzi alle conseguenze che gli derivano dall'aver troppo amata la sua idea". I diari scritti in carcere indicano come la categoria dell' antifascismo assuma veramente valenze universali: il "non mollare" come capacità di resistenza dell'indignazione, della solidarietà e della speranza, di fronte
 a tutti i tentativi dell' oppressore di spezzarti la coscienza, di ridurti a cosa fra le cose. Di fronte alle pressioni dei questurini perché venga firmata la domanda di grazia, rimane sempre la libertà di dire no, di non "dimettersi da uomini", come scrive Odoardo. La "scuola del carcere" è la grande università alla quale si sono iscritti questi organizzatori della classe operaia, temprando quelle capacità e quelle conoscenze che daranno linfa vitale alla nostra Repubblica.
Nel '32 l'amnistia libera Odoardo e gli altri carcerati, che riprendono subito il loro dovere di oppositori al regime, di nuovo arrestati nel '34. Nel '36, mentre la guerra in Etiopia è in pieno svolgimento, Taranto è pervasa dal mal d'Africa e si canta a voce spiegata " Faccetta nera", la morte del figlio di Odoardo, Todol, è occasione per una vera manifestazione antifascista, a via D'Aquino. Da un rapporto dello stesso anno dell' ispettore Calabrese - Aversini, apprendiamo che a Taranto, "dove maggiormente alligna il comunismo tra i centri pugliesi per la numerosa classe operaia ivi residente", nonostante le pene inflitte dal tribunale speciale, "coloro che hanno radicato nell'animo la fede comunista non si sono intimiditi". Anzi: "essi riescono a malapena a trattenere l'entusiasmo col quale seguono i sanguinosi rivoluzionari avvenimenti spagnoli".
A differenza della vicina Bari, a Taranto gli uomini di cultura non offrono il minimo segnale di maturazione di una sensibilità antifascista: abbiamo intellettuali di regime, come Alessandro Criscuolo, che partorisce reboanti e sconclusionate epigrafi basso-dannunziane oppure, nel migliore dei casi, l'afascismo tutto cerebrale del bibliotecario Vito Forleo. Gli antifascisti tarantini, tutti semplici operai, artigiani, pescatori, privi di qualunque supporto della "intellighenzia" locale (un caso a sé, politicamente poco rilevante, è dato dal poeta Michele Pierri), si stringono attorno ai vecchi dirigenti proletari (Voccoli, Latorre, Candelli, De Falco) che si presenteranno come gli autentici punti di riferimcnto dopo la caduta del fascismo.
La persecuzione contro gli antifascisti continua fino alle condanne del febbraio '43. Al momento dell'armistizio, i 250 soldati tedeeschi si allontanano da Taranto senza alcuno scontro, mentre le prime resistenze si incontrano a Castellaneta. Le forze anti fasciste si trovano a guidare un processo di transizione la cui complessità è ancora da chiarire.
Se al Nord il dopoguerra inizierà il 25 aprile '45, il Sud vive un particolare dopoguerra fra il'43 e il '45, ed è ancora tutto da studiare quanto accadde in quattro province pugliesi (Brindisi, Lecce, Taranto e Bari) che costituirono inizialmente l'area territoriale entro la quale lo Stato italiano, nella persona del re, poteva esercitare la sua sovranità. E nelle "province del re" si sintetizza un vischioso processo di continuità e di trasformazione, una inscindibile mescolanza di vecchio e di nuovo. La Puglia diviene il ponte di passaggio tra l'Italia monarchica e fascista e l'Italia che si apre alla nuova democrazia. La disgregazione del blocco dominante trova un elemento di forte ricomposizione nella monarchia.
La separazione tra corona e littorio che in altre regioni si effettua drammaticamente perché i simboli dei Savoia restano come emblema della. continuità dell'Italia contro le armate tedesche e la Repubblica Sociale, nel Sud - in larga parte risparmiato dalla guerra civile - avviene in maniera indolore. Le conseguenze sono importanti per quanto riguarda i meccanismi di ricambio fra vecchia e nuova classc dirigente: al Nord la selezione e la legittimazione sono state determinate dal basso, sul terreno della lotta partigiana, nel fuoco dello scontro armato, mentre al Sud la transizione è nel contempo più brusca e più vischiosa, riciclando la vecchia classe dirigente all'ombra di Comitati di Li berazione che non hanno liberato niente.
Quella diversa modalità di separazione fra corona e littorio permise nel Mezzogiorno una mimetizzazione maggiore delle forze e degli uomini che avevano avuto un ruolo importante durante il fascismo, e le conseguenze si sono fatte sentire sino a tutti gli anni Cinquanta. Ma, per quello che riguarda il nostro territorio, dovremmo aggiungere altri elementi interessanti: 1) in Puglia la continuità delle istituzioni statuali ha inceppato un autentico processo di ricambio politico, ma anche ha contenuto i guasti operati altrove dall'amministrazionc alleata, come il recupero di posizioni di comando della mafia in Sicilia; 2) la Puglia ha espresso una significativa tensione sociale (a Taranto, scioperi ai cantieri navali, l' assalto alla Prefettura...) attraverso la quale ha avuto modo di
manifestarsi il protagonismo cIelle classi subalterne e la sua volontà di trasformazione sociale; 3) quella vigorosa tradizione antifascista ha avuto un ruolo nel processo di transizione esprimendo una cultura meridionale che da tempo aveva fatto del Mezzogiorno un problema nazionale, indicando delle soluzioni avanzate, che non hanno trovato le gambe per concretizzarsi adeguatamente, ma hanno posto le basi per una possibile rinascita.
Concludiamo dicendo che un discorso storico su quegli anni cruciali deve fare i conti con una realtà fortemente contraddittoria. Basti pensare alla stridente diversità con cui, al di qua e al di là della linea gotica, viene vissuto l'autunno-inverno del '44-'45. Mentre al Nord le formazioni partigiane affrontano l'ultima sanguinosissima fase della Resistenza, a Sud l'unità antifascista è già sfilacciata e incomincia a funzionare la seduzione dell"'Uomo Qualunque", la rivista che dice "Abbasso tutti!" riaggregando nostalgici e malcontenti. Il risultato è che il 25 aprile, quando secondo le generose illusioni dell'Italia partigiana dovrebbe cominciare a soffiare il "vento del nord", nell'Italia già liberata si è fatto in tempo a consumare tre crisi di governo, la rottura di fatto della unità ciellenistica, il fallimento dell' epurazione, gli effetti devastanti di una massiccia inflazione, la riorganizzazione delle forze moderate filofasciste, la repressione nelle campagne dei primi moti contadini. Parri, Longo, Pertini e gli altri capi partigiani che sfilano in testa ai cortei nelle città appena liberate, non possono rendersene pienamente conto, ma il futuro che loro immaginano di poter costruire ex novo è già in gran parte ipotecato da tutto ciò che è avvenuto nell' altra Italia, e si tratta di un futuro dove gli elementi della "continuità" saranno, se non proprio più numerosi, almeno pari a quelli della "innovazione" e della "rottura".
Ma proprio per questo è da rivalutare il ruolo di quei vecchi antifascisti meridionali che hanno continuato a funzionare come ideale baluardo democratico nei difficili anni della ricostruzione, e il cui insegnamento, già negli anni della Resistenza, ha  fruttificato sui più diversi terreni, fornendo un luminoso esempio di fermezza e rigore morale. Quella fermezza che troviamo in tanti soldati meridionali che, trovandosi al nord, si sono dati alla macchia organizzandosi nelle formazioni partigiane. Quell' esempio "di rigore, di pulizia, di modestia" che Enzo Biagi ricorda della figura di Pietro Pandiani, il tarantino "Capitan Pietro", un comandante partigiano che non volle fare carriera, che rimase sempre un uomo schivo e riservato, che non cercò onorificenze e buoni posti.
La città di Taranto ha voluto ricordare questo valoroso combattente, indicando alle giovani generazioni la virtù del suo silenzioso eroismo, del
suo disincantato ma infrangibile rigorismo morale, che può valere come sano correttivo dei guasti della società dello spettacolo e del rumore, che deve valere come esempio della parte più nobile dell' anima meridionale e tarantina.
Nel maggio del 1988, per iniziativa del sindaco Mario Guadagnalo, con la partecipazione delle Associazioni Partigiane A.N.P.I. - F.I.V.L. - F.I.A.P. ELA.P. e della 1° Brigata "Giustizia e Libertà" della Divisione Bologna,
dopo gli interventi del Professor Roberto Nistri, dell'avvocato Francesco Berti Arnoaldi Veli (Presidente Istituto Regionale Storia della Resistenza in Emilia Romagna) e di Aldo Aniasi (Presidente Nazionale F.I.A.P.), i giardini antistanti la sede dell'ex Enpas sono stati dedicati a Pietro Pandiani, capitano medaglia d'argento al valore militare. I tarantini hanno voluto onorare questo loro concittadino dedicandogli un cippo marmoreo in ricordo della lotta partigiana e dei valori a cui essa rimanda: libertà, democrazia, tolleranza, giustizia sociale.


In occasione della manifestazione venne pubblicato un opuscolo celebrativo, del quale riportiamo una scheda biografica sul capitano Pietro ed un ricordo del giornalista Enzo Biagi.
 

Pietro Pandiani nasce l' 11 febbraio 1915 a Taranto, da una famiglia di tradizioni garibaldine: il nonno, Pietro anch'egli, aveva partecipato alle Cinque Giornate di Milano rimanendovi ferito, poi alla difesa di Roma nel 1849, con le truppe garibaldine. Aveva poi seguito Garibaldi nelle sue campagne di guerra. Di questo comasco (di Sueglio sopra Dervio), sposatosi con una tarantina, Francesca Pepe, e stabilitosi a Taranto, Pietro e suo fratello Bernardo conservano l'amore per la libertà che li guiderà nella resistenza.
Pietro sceglie la carriera militare in artiglieria; poco dopo essere uscito dall'Accademia viene inviato in Spagna, coi reparti dell' esercito italiano. Vede, dall'altra parte, le prime esperienze di guerriglia che più tardi si troverà egli stesso a vivere. Allo scoppio della guerra, Pietro è in Africa settentrionale col fratello: entrambi vengono feriti in Marmarica. Pietro ottiene il trasferimento a Bologna, dove Bernardo è ricoverato presso l'Istituto Rizzoli, sotto le cure del professor Oscar Scaglietti che asseconda i primi collegamenti con il movimento antifascista. I fratelli Pandiani conoscono così l'avvocato Mario Jacchia (poi Medaglia d'oro alla memoria) che li introduce nel Partito d'Azione. Si legano con Mario Bastia, altro martire della resistenza bolognese, con Pietro Foschi e con Gianguido Borghese.
Infine, nel giugno 1944, i fratelli Pandiani vengono inviati a Gaggio Montano sull' Appennino bolognese dove s'è appena costituito un gruppo partigiano, "GL Montagna" del quale il ventinovenne Pietro assume il comando. Il gruppo diventa la 1° brigata "Giustizia e Libertà" della divisione Bologna, che il "Capitano Pietro" - il nome di battaglia che i partigiani subito danno al loro comandante - guiderà con mano sicura fino alla liberazione di Bologna. Biagi lo ha ricordato come un uomo schivo, alto e robusto che "parlava poco e adagio con accento meridionale". Nella sua formazione dei cento ragazzi che non avevano caserma nè rancio, nè armi nè scarpe, che dormivano fra gli abeti e i fucili andavano a cercarseli, militavano anche il fratello professore  (nome di battaglia "Nando") vice comandante della brigata che sarà decorato con la Medaglia d'Argento e la sorella Laura, appena ventenne.
Il Capitan Pietro ("captain Peter", dicevano gli americani, "mon capitain", lo chiamava Napoleone-Jacques Lapeyrie, un partigiano francese aggregato alla brigata, in seguito fucilato dai tedeschi a Castelluccio) insegnò come adoperare il mitra e il mortaio, come andare all'attacco e non aver paura.
La "Giustizia e Libertà" agisce nella zona di Gaggio Montano, Lizzano in Belvedere, e di Fanano nel modenese, sistematicamente impegnata negli scontri con i nazi-fascisti; rientra a Ronchidòs dove s'è costituita, e dove negli ultimi giorni di settembre le S.S. seminano la morte nella sanguinosa catena di eccidii indiscriminati che vanno da Cà di Berna sopra Lizzano in Belvedere sino a Marzabotto. La brigata il 12 ottobre 1944 libera Gaggio Montano insediandovi il C.L.N., e restando unita in armi; partecipa all'azione del 28 ottobre 1944 sul crinale di Monte Belvedere assieme alla "Matteotti" di Toni Giuriolo e alla "Garibaldi" di Mario Ricci ("Armando"). Combatte poi sul fronte di Grizzana e di Livergnano, aggregata al gruppo italiano di combattimento "Legnano", col quale entra in Bologna il 21 aprile 1945, il giorno stesso della liberazione della città. Anche a lui sarà conferita una Medaglia d'Argento al valor militare.
Pietro conserverà intatti gli ideali della lotta antifascista; lasciato l' esercito, vive con pulizia e riservatezza.  Muore il 6 novembre 1972. Riposa a Merano, nel sepolcro di famiglia. La sua brigata viene premiata con la Medaglia d'Oro concessa alla memoria di uno dei suoi ragazzi più giovani, Rossano Marchioni ("Binda"). Per Pietro Pandiani, il migliore riconoscimento è nella gratitudine e nell'affetto dei suoi uomini, nel rispctto e nell'ammirazione di tutti coloro che non dimenticano da quali radici e per quali speranze sia nata la libertà della nostra Repubblica.

Come lo ricordo

Nella storia di ognuno di noi c'è, davvcro, almeno una persona che non si può dimenticarc: io penso anzi che gli incontri che contano sono di più.
Tra quelli che hanno segnato la mia vita, tra i più indelebili, c'è il Capitano Pietro; per noi giovani uomini di "Giustizia e Libertà" è stato non solo uno straordinario comandante, era anche un esempio di rigore, di pulizia, di modestia.
Voleva proteggerci, e non solo dai pericoli della guerra, ma anche dagli equivoci della politica, dalle furbizie delle piccole strategie, dai compromessi disinvolti.
Ha vissuto con una rara coerenza: quando tutti, o quasi, potevano avere lui non ha chiesto nulla. Non è stato un reduce. Non ha fatto carriera. Non ha cercato, né gli han dato, un buon posto. Lo ha conservato, però, nel cuore dei suoi vecchi ragazzi, e il tempo, e i fatti che ci assalgono, rendono più acuto il rimpianto. 

martedì 16 luglio 2013

http://palagianellostoria.myblog.it/
IN CORSO NEL CASTELLO MEDIEVALE DI MASSAFRA, PER INIZIATIVA DELLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA

La mostra: “San Sergio. Vita e culti alle porte di Taranto”

È stata inaugurata, nel Castello medievale di Massafra, la mostra dal titolo “San Sergio. Vita e culti alle porte di Taranto”, a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, sotto la direzione scientifica del dottor Arcangelo Alessio, e con la collaborazione della Società Cooperativa “Museion”.
In esposizione i reperti provenienti dal deposito di terrecotte votive rinvenuto nel 1981 presso il sito archeologico di San Sergio, situato in agro di Massafra: statuette fittili raffiguranti, per la maggior parte, cavalieri e banchettanti, probabilmente offerte in occasione di culti funerari praticati all’interno della necropoli.
La mostra rappresenta il secondo momento del progetto di divulgazione del sito di San Sergio, di notevole interesse storico-archeologico, ricadente all’interno del vasto territorio della Taranto magno – greca.
Al fine di studiarlo, lo ricordiamo, dal 2005, al Castello, è attivo un laboratorio archeologico. La prima esposizione, intitolata “San Sergio. La necropoli riscoperta”, fu inaugurata nel dicembre del 2007 e raccoglieva i reperti provenienti dalla vasta area di necropoli. La nuova mostra è stata realizzata grazie al contributo di numerosi enti: Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, Regione Puglia, Comune di Massafra, Lions Club Massafra-Mottola “Le Cripte”, Leo Club Massafra, Consulta della Associazioni, Museo della Civiltà dell’Olio e del Vino. All’inaugurazione erano presenti: il vice-sindaco Giandomenico Pilolli, l’assessore all’Associazionismo Antonio Cerbino, il dottor Arcangelo Alessio, il presidente del Lions Club “Le Cripte” Antonio Altamura, il presidente della Consulta Emmanuele La Tanza, la presidente del Leo Club Maria Cristina Giovinazzi e il delegato del service dei Lions Luigi Pizzutilo. È possibile visitare l’esposizione, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.30 alle 12.30, contattando gli operatori della Biblioteca comunale (099 8805939http://www.corrieredelgiorno.com/2011/04/18/la-mostra-san-sergio-vita-e-culti-alle-porte-di-taranto/
IN VIA ICCO E IN VIA UMBRIA

Scoperte tombe magnogreche in due zone diverse della città

E’ vero che il Nostro è il paese più ricco di vestigia storiche e archeologiche, ma non sono molte le città che offrono “in tempo reale” lo spettacolo dello scavo archeologico in continuo, come Taranto. Negli ultimi giorni, in occasione dei lavori alle reti fognarie urbane, effettuati dall’Acquedotto pugliese, sono state portate alla luce alcune sepolture appartenenti alla sconfinata necropoli della Taranto antica, in due diversi siti: in via Icco, angolo via Rintone, e in via Umbria, angolo corso Italia. Grazie alla vigilanza della soprintendenza archeologica, che ha incaricato del servizio la Cooperativa Museion, rappresentata in questo caso dall’archeologa Paola Iacovazzo, i lavori delle aziende vengono vigilati, secondo le disposizioni vigenti e, in molti casi, consentono di portare alla luce antichissime sepolture. Se queste ultime sono “inviolate”, cioè se vengono alla luce per la prima volta, riconsegnano al patrimonio archeologico pubblico i preziosi corredi con i quali era in uso inumare i cadaveri. Ebbene, mentre nel caso dello scavo in via Umbria, il sarcofago rinvenuto era già stato violato ed era ripieno di materiale inerte riveniente dai precedenti scavi. Invece era inviolata e conservata perfettamente la tomba di via Icco, come ci ha spiegato la direttrice del Museo archeologico nazionale, Antonietta Dell’Aglio, responsabile dell’area urbana di Taranto: “La tomba a fossa è di epoca molto antica e presenta tre deposizioni. La prima, e più antica risale alla prima metà del VI secolo a. C. Le altre due giaciture secondarie sono successiva, ma poiché si tratta, come avviene di consueto, di riuso in ambito famigliare (anche perché non c’era molto materiale di scarto), è da supporre che abbiamo una datazione posteriore di non più di mezzo secolo”. Oltre agli scheletri dei tre defunti sono stati ritrovati i corredi funebri completi e interessanti quasi tutti integri e comunque, anche quando rotti, sono completi. “Gli oggetti del corredo funebre – ci ha chiarito la dottoressa Dell’Aglio – sono di importazione, corinzia o comunque orientale e di un certo interesse storico artistico”. Gli oggetti del corredo funebre sono stati trasferiti al Museo, per essere inventariati e conservati. A questo proposito ci permettiamo di avanzare una proposta alla soprintendente e alla direttrice del Museo: perché non esporre al pubblico, in una piccola mostra autonoma, i reperti recuperati negli ultimi scavi (relativi a un periodo di alcuni anni) con le indicazioni topografiche? Si potrebbe in questo modo, forse, attirare l’interesse dei cittadini dei quartieri o dei centri in cui sono stati fatti i rinvenimenti, che molto spesso curiosano durante le operazioni di scavo, ma che poi non hanno occasione di “vederne” concretamente “i frutti”.
(guarda video)
CON IL COMUNE DI TARANTO COLLABORERANNO SCUOLA EDILE E “DE RUGGERI”

Un progetto per il recupero dell’ipogeo della “Galilei”

Risale alla metà del Settecento l’edificio che ospita la Scuola media “G. Galilei”. L’elegante palazzo era di proprietà della famiglia Ciura, originaria di Massafra benestante, ma non nobile. L’edificio, composto di ventisette stanze, era fornito anche di magazzini, stalle e cisterne per la conservazione dell’olio; al piano scantinato si poteva accedere anche direttamente dal mare. Dagli anni Ottanta è sede della Scuola media “G. Galilei”. Fino al 1996, l’ipogeo è stato utilizzato per mostre fotografiche, rappresentazioni in vernacolo, mostre d’oggetti legati al mare, poi abbandonato “a se stesso”. Oggi per poterlo utilizzare serve un corposo intervento di restauro e qualificazione. Questo sarà possibile grazie a un accordo firmato fra la Scuola edile di Taranto e il liceo “De Ruggieri” di Massafra. Le finalità dell’accordo sono state illustrate nell’ambito della conferenza stampa alla quale hanno partecipato: Salvatore Marzo ed Alba Nigro, rispettivamente preside reggente e vicepreside dell’Istituto, il sindaco Ippazio Stefàno, l’assessore alla Pubblica istruzione Annarita Lemma, Stefano Milda, dirigente scolastico del liceo “De Ruggieri”, Fabio De Bartolomeo e Angelo Lorusso, rispettivamente presidente e direttore della Scuola edile. Il liceo “De Ruggieri” di Massafra ha firmato una convenzione con la Scuola edile di Taranto per una prestazione d’opera nell’ambito dei fondi Por, a.s. 2010/2011, avente come obiettivo la realizzazione di tirocini e stage in Italia ed in Europa per il restauro di pitture murali in palazzi di pregio. “Abbiamo avviato – ha precisato Milda – una serie di progetti Pon, Por con i contributi dell’Unione europea e della Regione Puglia. Dopo una serie di stage a Volterra, Firenze, e l’Aquila (dove gli studenti hanno contribuito al restauro della famosa fontana), con la Scuola edile abbiamo concordato che sei studenti, già diplomati, oggi universitari, svolgessero uno stage, collaborando al restauro di questa struttura. E’ un fatto positivo perché la scuola deve essere aperta al territorio, saper coinvolgere gli studenti con attività di carattere pratico”.
L’Amministrazione comunale si è impegnata alla sistemazione degli infissi e dei bagni. Se si rispetteranno i tempi, a Natale sarà possibile ospitare nell’ipogeo la prima mostra permanente di presepi. La Scuola edile collabora da qualche tempo con l’Amministrazione, formando il personale per il recupero di strutture antiche, per la valorizzazione del centro storico. “Abbiamo in programma – ha specificato De Bartolomeo – di aprire un cantiere scuola nella Città vecchia. Sia l’Ance, sia i sindacati credono non solo in questo modus operandi, ma soprattutto sono convinti che la valorizzazione degli immobili sia necessaria in tutta la città. Gli studenti saranno seguiti da due tutor del liceo e da uno della Scuola edile, un ingegnere specializzato in questa tipologia d’interventi”.
“Sarà una destinazione fantastica – ha puntualizzato Alba Nigro – l’istituto è fornito di un laboratorio di scienze d’ultima generazione, uno musicale, uno multimediale, uno ben attrezzato d’artistica, dove gli studenti producono manufatti apprezzabili. Anche il laboratorio di falegnameria è utilizzato, sapere che nella propria scuola c’è un luogo destinato alle esposizioni, sarà senz’altro motivo d’orgoglio”.
Stefàno ha colto l’occasione per comunicare che a breve il mercato di Via di Mezzo, sarà spostato lungo il marciapiede della discesa Vasto. Questo permetterà all’Amministrazione di realizzare un parcheggio di circa duecento posti. Inoltre Piazza Castello sarà oggetto d’una ristrutturazione che la renderà più accogliente non solo per i cittadini, ma anche per i turisti, che sempre più numerosi vengono a visitare la città dei due mari e che sarà recuperato il pavimento sottostante. Infine, anche la Fontana dell’omonima piazza nel giro di pochi mesi sarà funzionante.
Silvana Giuliano
CON IL COMUNE DI TARANTO COLLABORERANNO SCUOLA EDILE E “DE RUGGERI”

Un progetto per il recupero dell’ipogeo della “Galilei”

Risale alla metà del Settecento l’edificio che ospita la Scuola media “G. Galilei”. L’elegante palazzo era di proprietà della famiglia Ciura, originaria di Massafra benestante, ma non nobile. L’edificio, composto di ventisette stanze, era fornito anche di magazzini, stalle e cisterne per la conservazione dell’olio; al piano scantinato si poteva accedere anche direttamente dal mare. Dagli anni Ottanta è sede della Scuola media “G. Galilei”. Fino al 1996, l’ipogeo è stato utilizzato per mostre fotografiche, rappresentazioni in vernacolo, mostre d’oggetti legati al mare, poi abbandonato “a se stesso”. Oggi per poterlo utilizzare serve un corposo intervento di restauro e qualificazione. Questo sarà possibile grazie a un accordo firmato fra la Scuola edile di Taranto e il liceo “De Ruggieri” di Massafra. Le finalità dell’accordo sono state illustrate nell’ambito della conferenza stampa alla quale hanno partecipato: Salvatore Marzo ed Alba Nigro, rispettivamente preside reggente e vicepreside dell’Istituto, il sindaco Ippazio Stefàno, l’assessore alla Pubblica istruzione Annarita Lemma, Stefano Milda, dirigente scolastico del liceo “De Ruggieri”, Fabio De Bartolomeo e Angelo Lorusso, rispettivamente presidente e direttore della Scuola edile. Il liceo “De Ruggieri” di Massafra ha firmato una convenzione con la Scuola edile di Taranto per una prestazione d’opera nell’ambito dei fondi Por, a.s. 2010/2011, avente come obiettivo la realizzazione di tirocini e stage in Italia ed in Europa per il restauro di pitture murali in palazzi di pregio. “Abbiamo avviato – ha precisato Milda – una serie di progetti Pon, Por con i contributi dell’Unione europea e della Regione Puglia. Dopo una serie di stage a Volterra, Firenze, e l’Aquila (dove gli studenti hanno contribuito al restauro della famosa fontana), con la Scuola edile abbiamo concordato che sei studenti, già diplomati, oggi universitari, svolgessero uno stage, collaborando al restauro di questa struttura. E’ un fatto positivo perché la scuola deve essere aperta al territorio, saper coinvolgere gli studenti con attività di carattere pratico”.
L’Amministrazione comunale si è impegnata alla sistemazione degli infissi e dei bagni. Se si rispetteranno i tempi, a Natale sarà possibile ospitare nell’ipogeo la prima mostra permanente di presepi. La Scuola edile collabora da qualche tempo con l’Amministrazione, formando il personale per il recupero di strutture antiche, per la valorizzazione del centro storico. “Abbiamo in programma – ha specificato De Bartolomeo – di aprire un cantiere scuola nella Città vecchia. Sia l’Ance, sia i sindacati credono non solo in questo modus operandi, ma soprattutto sono convinti che la valorizzazione degli immobili sia necessaria in tutta la città. Gli studenti saranno seguiti da due tutor del liceo e da uno della Scuola edile, un ingegnere specializzato in questa tipologia d’interventi”.
“Sarà una destinazione fantastica – ha puntualizzato Alba Nigro – l’istituto è fornito di un laboratorio di scienze d’ultima generazione, uno musicale, uno multimediale, uno ben attrezzato d’artistica, dove gli studenti producono manufatti apprezzabili. Anche il laboratorio di falegnameria è utilizzato, sapere che nella propria scuola c’è un luogo destinato alle esposizioni, sarà senz’altro motivo d’orgoglio”.
Stefàno ha colto l’occasione per comunicare che a breve il mercato di Via di Mezzo, sarà spostato lungo il marciapiede della discesa Vasto. Questo permetterà all’Amministrazione di realizzare un parcheggio di circa duecento posti. Inoltre Piazza Castello sarà oggetto d’una ristrutturazione che la renderà più accogliente non solo per i cittadini, ma anche per i turisti, che sempre più numerosi vengono a visitare la città dei due mari e che sarà recuperato il pavimento sottostante. Infine, anche la Fontana dell’omonima piazza nel giro di pochi mesi sarà funzionante.
Silvana Giuliano
E' QUELLO CHE PIETRO LAUREANO ELABORÒ PER LA PROVINCIA

Civiltà rupestre: Un progetto da rilanciare ma senza improvvisazioni

Beni culturali e territorio. È un binomio inscindibile che trova le sue chiavi di lettura all’interno sia dei processi storici che nelle realtà in cui il tessuto territoriale si presenta con le sue spaccature epocali a partire dagli elementi archeologici sino ad epoche più vicine alla cultura bizantina. In questo intaglio di geografia fisica e umana insiste costantemente, aspetti che ho messo in evidenza decenni fa con studi, convegni e dei video importanti che hanno mostrato la “faccia” del territorio grazie ad una collaborazione dell’agenzia Sirio di Taranto, ciò che è stato definito mondo sommerso del rupestre.
La civiltà rupestre con le sue gravine e con il racconto nell’area ionica tarantina che va da Matera sino a Maruggio. Uno dei primi approcci a me cari risale al giugno del 1995 con una Mostra sulla Civiltà Rupestre e il variegato contesto delle gravine in un intreccio tra la Basilicata e Taranto grazie anche al racconto di uno scrittore come Carlo Levi.
Una mostra, da me inaugurata, che la Provincia di Taranto ha sviluppato al Museo etno – antropologico di Roma e che ha riscosso un significativo successo con il relativo catalogo che ha posto in essere le virtù di un progetto non locale ma nazionale. Ritorna, all’interno della chiave di lettura dei beni culturali, la conoscenza e la valorizzazione del rupestre, del modello tufaceo, della roccia, del “gravinoso” in una area vasta del tarantino ben studiata da uno dei massimi conoscitori del problema, ovvero Pietro Laureano.
Pietro Laureano, per la Provincia di Taranto, ha sviluppato un progetto abbastanza articolata che ha avuto la capacità aggregante di intrecciare i territori e non il nucleo territoriale ristretto. Infatti oggi non si può e non si deve parlare di una gravina localizzata in un solo territorio né tanto meno delle terre delle gravine. La questione è archeologicamente e antropologicamente più complessa. Il rupestre è mediterraneo ma un mediterraneo delle grotte come è ben visibili anche in alcuni conventi.
L’esempio del Chiostro di San Francesco di Paola di Grottaglie è un esempio emblematico che deve rientrare in una archeologia del territorio e di un territorio come un sapere delle contaminazioni. La mappatura affidata a Laureano aveva come obiettivo certamente quello di candidare l’area del rupestre a patrimonio nazionale dell’Unesco ma andava anche a toccare quegli elementi storici di conoscenza di una area geografia ben specifica che è, appunto, quella che va da Matera, Massafra, Cristiano, Grottaglie, San Marzano, Maruggio. Oggi bisogna parlarne non con pressappochismo ma con professionalità, con conoscenza, con gli strumenti moderni e non solo teorici di uno sviluppo territoriale. La teoria della promozione delle gravine senza un progetto sui beni culturali intesi in termini fruitivi, valorizzanti, culturali non ha senso.
Ancora oggi i punti nevralgici restano gli organismi che stanno alla base di un progetto dell’economia della cultura: gli enti locali, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell’Ambiente e le strutture del turismo avanzato. Ma il dato più concreto è quello di non cadere nel “provincialismo” e nella territorialità stretta della rivendicazione geografica. Un Progetto sul Rupestre ha senso se si crea una linea portante non solo dal punto di vista geografico ma anche epocale con le varie storie inserite, come già affermavo decenni fa, in un unicum.
Pubblicazioni, materiale di conoscenza, video, convegni ne abbiamo fatti a decina. Non da queste settimane ma da anni antichi. C’è stato e c’è un mondo dell’associazionismo abbastanza preparato in merito. Ho potuto constatare ciò nel corso di questi anni. Io insisto, con coerenza, che occorre riprendere il Progetto Laureano che aveva un senso ed ha un senso ancora oggi anche perché ci troviamo di fronte ad uno studioso serio che ha focalizzato con le tecniche moderne il legame tra la geografia del tempo e la simbologia dei territori.
Un altro punto emerge da questo dibattito che vorrei che si aprisse con esperti in materia e non con improvvisatori che sanno poco di cosa parlano: l’unicum significa articolare in un unico modello epocale le articolazioni territoriali. Le fasi storiche tra Massafra e Grottaglie, faccio un solo esempio, possono leggersi sotto una linearità storica ben precisa ma antropologicamente si presentano con diversità di fondo. Ciò vuol dire che la distinzione non può separare i territori ma deve intrecciali. L’altro aspetto riguarda la questione relativa al post – conoscenza e al dopo tutela. Abbiamo scritto pagine e pagine su questo argomento.
Il Progetto c’è ancora. Nessuno si inventa nulla perché chi pensa di inventarsi su questi argomenti significa che non conosce realmente la storia del territorio tarantino. Il Rupestre o le Gravine (che non è la stessa cosa) sono elementi di un bene culturale più articolato e come tale va iscritto in una politica ragionata sul patrimonio culturale di un territorio che racconta eredità, storia e progettualità.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali guarda con molta attenzione a questa dimensione ma è una dimensione che vuole la sua scientificità in una interralazione che va dall’archeologia al linguaggio dei simboli sulle pareti delle grotte.
Il paesaggio è un ambiente. Ma è anche l’umanità di un territorio. E di questo avevamo discusso a partire dal 1995: da Taranto a Laterza, da Massafra a Grottaglie, da San Marzano a Martina Franca. Pubblicazioni, video, progetti sono ancora reperibili e restano strumenti inconfondibili e sicuri per uno studio appropriato e serio.

DAI COMITATI DI LIBERAZIONE ALLA NASCITA DEI PARTITI

La provincia ionica e il ritorno alla democrazia dopo l’Armistizio

Badoglio con Mac Ferlane e Taylor
Il processo di democratizzazione nella Provincia Jonica – come del resto accade nel Mezzogiorno liberato – è ostacolato dalle ingerenze del Governo Badoglio e dal controllo capillare che vi esercita per mezzo del potere prefettizio.
Intervenendo nella nomina dei sindaci e delle Giunte, modificando spesso le designazione dei Comitati locali di Liberazione, il Prefetto colloca al vertice delle amministrazioni periferiche personaggi di provata fede monarchica, nel tentativo di salvarne l’istituto gravemente compromesso con il fascismo.
Nel gennaio del 1944 si tiene a Bari il primo Congresso dei partiti antifascisti che rappresenterà un atto di rottura ideale con il passato ventennio e segnerà l’avvio della ripresa della vita democratica del paese.
In questo clima di rinascita morale e civile, si ricostituiscono le organizzazioni politiche e sindacali. Notizie sulla formazione dei partiti a Taranto si possono ricavare, innanzitutto, dalle relazioni del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali “sulla situazione politico-economica, sulle condizioni dello spirito pubblico, ecc.” relative all’anno 1944.
La Democrazia Cristiana – che stabilirà la propria sede provinciale in Piazza Massari 7 – si costituisce intorno alla figura del dott. Ignazio Manganello, proveniente dal PPI di don Sturzo. Eletto segretario politico, sarà sostituito nella carica dal dott. Domenico Latanza perché ritenuto – secondo l’informativa dei Carabinieri – “subalterno alle autorità ecclesiastiche”. Nella DC tarantina sussiste, infatti, una tendenza laica di sinistra – il dott. Michele Pierri che ne è espressione tenterà, senza successo, di dar vita a una sezione, indicata dai CC, “cristiano comunista” (si tratta del Partito Cristiano Sociale), destinata però all’emarginazione per l’intervento deciso del clero e dell’Arcivescovo che, sconfessando l’iniziativa, faranno fallire l’esperienza.
In seno al Partito si delinea, alla luce di questi avvenimenti, una corrente maggioritaria moderata con a capo il dott. Francesco D’Elia, mentre altri esponenti – come l’ avv. Giulio Sansonetti, il dott. Giuseppe Cinieri e l’avv. Giuseppe Acquaviva – svolgeranno un ruolo di cerniera tra le divergenti posizioni.
La DC è presente sul territorio, al momento, con 21 sezioni e 20.000 iscritti dei quali la metà nel solo capoluogo.
Collateralmente al Partito, assume rilievo l’Associazione Cristiana dei Lavoratori Italiana – ACLI – guidata dal rag. Mario Berry, funzionario dell’Istituto della Previdenza Sociale di Taranto che gode del sostegno di Monsignor Motolese. L’organizzazione – che conta 3.000 aderenti e che dovrebbe svolgere un ruolo autonomo dai partiti – in realtà “agisce – come si legge nella relazione dei militari – nell’orbita della DC”.
Il PCI è forte nella provincia di 28 sezioni e un seguito di 12.000 iscritti dei quali 6.000 a Taranto. Appare a volte frenato nella sua azione dalle contrapposizioni – che non sono solo di natura personale ma riguarderebbero , anche, il giudizio su Togliatti – tra i suoi tre massimi esponenti: Edoardo Voccoli, Amedeo Renzulli e Giuseppe La Torre, tutti con un glorioso passato di intransigente antifascismo. Secondo quanto viene evidenziato dai Carabinieri, il PCI incontrerebbe difficoltà ad attecchire in realtà importanti come Castellaneta, Ginosa e Manduria. In realtà gli eventi dimostrano la superficialità di simili affermazioni.
Nell’ottobre del ’44, comunque, a Lizzano 700 iscritti comunisti trasmigrano in blocco nel partito democratico-liberale. Partito, quest’ultimo, che nella provincia jonica “ha un buon seguito” soprattutto tra i proprietari terrieri ed è valutato in oltre 20.000 aderenti e in 23 sezioni. Esponente di maggior rilievo del Partito è l’avv. Alberto Rochira.
Piuttosto debole appare dal punto di vista organizzativo, la consistenza delle altre forze politiche: il Partito Socialista, guidato da Roul Solari e dal dott. Ciro Drago – quest’ultimo reintegrato nel ruolo di Soprintendente alle Opere d’Antichità nella Puglia, privatogli dai fascisti – molto attivo negli anni del prefascismo, conterebbe 15 sezioni e soltanto un migliaio di iscritti. I locali della Federazione Provinciale sono ubicati in Via Pitagora.
Nella sua prima assemblea – che si tiene nella prima metà di agosto e alla quale partecipano vari rappresentanti della provincia – viene assegnato a Solari il compito di riorganizzare il Partito in Terra Jonica e nominato un Comitato Direttivo nelle persone di Pompeo Lorea, Guglielmo Izzo, Nicola Marturano, Arturo Girardi, Luigi Greco e Realino Spedicato.
Il dott. Ciro Drago sarà, invece, designato quale primo sindaco di Taranto del dopoguerra.
Il Partito d’Azione – che ha come esponenti di primo piano l’enologo Ferdinando Santulli, l’avv. Angelo Valente e Pietro Galasso – di sezioni ne conterebbe 16 con quasi 600 tesserati.
(…)
PER L'INAUGURAZIONE DELLA PISCINA INTITOLATA A  "DAVIDE LENGE"
Palagianello 06 luglio 2002 

Molti si domanderanno chi sarà stato Davide Lenge e perchè dimorava in Palagianello.
In questo momento, può suscitare un certo interesse mettere in evidenza i lineamenti essenziali della Sua attività politico-amministrativa, con particolare riferimento a quella esplicitata in favore della cittadinanza quando il nostro comune, reduce da un periodo di sudditanza lungo un secolo, da quello di Palagiano, risentiva ancora del trattamento tipico che i Comuni capoluoghi riservano alle frazioni. 

Davide Lenge nasce il 5 gennaio 1868, compì gli studi in seminario sino alla soglia del sacerdozio; in seguito dedicò la sua attività alla politica nella natia Ginosa.
Agli inizi del '900, fra alcuni nostri concittadini, non sappiamo da quando con precisione, iniziò ad introdursi il pensiero socialista che oltre ad inculcare l'idea autonomistica, spinse quei cittadini ad interessarsi della cosa pubblica, fino ad allora monopolio quasi esclusivo di poche persone di Palagiano.
Con l'accentuarsi dei contrasti sociali, che seguirono alla crisi economicca ormai dilagante in tutto il Salento, verso la fine dell'ottocento, per iniziativa dell'Avvocato ginosino Edoardo Sangiorgio - che già nel 1892 aveva aperto un circolo socialista in Taranto - furono costituite in Palagianello, Castellaneta, Ginosa e Palagiano leghe dei braccianti e dei contadini poveri, cui seguì, agli inizi del novecento, la formazione di un nucleo di socialisti composto da braccianti agricoli, quasi tutti potatori, i quali, per ragione di lavoro, erano costretti a recarsi nelle masserie dell'agro di Castellaneta, Laterza, Ginosa ed altri comuni.
In Ginosa alcuni operai, fra i quali i più rappresentativi  eano Gaetano Terzuoli, Giuseppe Di Fonzo e il nonno (padre di nostra madre) Giulio Murgiano, conobbero Davide Lenge e riuscirono a portarlo a Palagianello con il preciso intento di metterlo alla testa dell'informe gruppo che si definiva socialista.
Con la Sua venuta a Palagianello, il gruppo di operai da amorfo che era, senza alcun serio programma di proselitismo e di lotta, ricevè una forte spinta organnizzatricce.
Davide Lenge - le cui prime esperienze politiche sono influenzate dall'Avvocato Edoardo Sangiorgio del quale seguiva, con viva partecipazione, tutte le conferenze - seppe imporsi subito all'attenzione della cittadinanza poichè, come suo primo attro impostò il problema dell'autonomia di Palagianello.
E' noto che Palagianello, per motivi degrafici, dal 1806 al 1907 fu prima Comune aggregato e poi frazione di Palagiano.
Come suo primo atto dicevo, impostò e portò a termine la vicenda dell'autonomia, tanto che, subito dopo il distacco da Palagiano, il primo Consiglio comunale nella seduta del 12 maggio 1908 - si badi bene alla sua seconda deliberazione, in pratica immediatamente dopo la nomina degli organi istituzionali, ovverosia Sindaco e Giunta Municipale - deliberò di conferirgli la cittadinanza onoraria.
Perchè?
Per meglio comprendere lo stato d'animo dei cittadini di Palagianello, è opportuno leggere quella deliberazione sol considerando che, quando si era frazione di Palagiano, ben poco si poteva ottenere da quesgli Amministratori, mentre al Lenge, che nella Camera del Lavoro svolgeva un po' il ruolo del consulente oggi, la gente ricorreva per esternare le proprie necessità, sicuri della buona riuscita.
Di quell'atto ci piace riferire il dispositivo che così recita:
Risultato legale il numero degli intervenuti il signor Presidente dichiara aperta la seduta coll'assistenza del Segretario assunto signor Libraro Francesco, Consigliere comunale ed apre la discussione sul seguente  oggetto messo all'ordine del giorno: "Cittadinanza onoraria al signor Davide Lenge" proponendone l'accoglimento, avuto riguardo all'opera attiva, costante ed efficace spiegata da costui per conseguiore quell'autonomia in virtù della quale oggi possono aver luogo queste riunioni per la tutela dei propri interessi.
Il Consiglio Comunale
Considerato che senza l'opera rigorosa ed indefessa del prelodato sig. Lenge la desiderata autonomia non si sarebbe conseguita, poichè fu appunto lui che in breve concepì l'idea, la sostenne, vi appassionò il paese e la propugnò calorosamente con giovanile baldanza, finchè non divenne un fatto compiuto.
Ritenuto che tanto amore, tanto interesse per le cose di questo paese, ove egli si è stabilito da poco, gli danno ben diritto a che possa essere annoverato tra coloro che nascendo ne respirarono le prime arie.
Ad unanimità di voti per alzata e seduta,
 Delibera
   Concedere al sig. Lenge la cittadinanza onoraria di Palagianello surto a Comune per opera di lui.
Con queste motivazioni il Consiglio comunale di Palagianello, volle onorarem questo cittadino acquisito, il quale, con la sua azione, riportò all'autonomia il nostro Comune che, invero, sin dal XV secolo aveva dignità e attribuzioni amministrative, per essere stata Magnifica Università -copme allora erano chiamati i comuni - in virtù delle prammatiche di Ferrante primo d'Aragona promulgate nella seconda metà del '400 e che soltanto una legge napoleonica nel 1806  le aveva sottratte per motivi demografici.
Contestualmente alla questione dell'autonomia, con il Lenge furono impostati ed attuati due problemi di carattere socio-politico styrettamente legati fra loro, vale a dire la costituzione della Lega dei Contadini e la Cooperativa di Consumo fra i lavoratori di Palagianello.
Davide Lenge - che nel 1900 era schedato presso la Prefettura di Lecce come fervente socialista - durante la sua permanenza in Palagianello, ebbe diversi incarichi.
Oltre ad essere stato eletto Consigliere comunale nella consultazione amministrativa del 19 dicembre 1909:
  1. fu promorore e Segretario della Lega dei contadini di Palagianello;
  2. assunse lacarica di Segretario della Cooperativa di Consumo dei Lavoratori di Palagianello, nata con lo scopo di acquistare all'ingrosso generi di prima necessità, per distribuirli ai soli soci al prezzo di costro, maggiorato delle sole spese di amministrazione;
  3. fu nominato Segretario della Società Anonima Cooperativa Agricola di Palagianello che si proponeva di migliorare progressivamente la condizione economica e morale dei lavoratori, procurando loro lavoro e abituandoli alla previdenza;
  4. fece parte quale Componente della Commissione di Vigilanza scolastica e della Congregazione di Carità, vale a dirre due importanti settori dell'Amministrazione: la pubblica istruzione e l'assistenza; con la conseguenza che, finalmente, i braccianti incominciarono a fruire di soccorsi in natura e di medicinali in caso di malattie;
  5. si adoperò, con abnegazione, in favore della popolazione in occasione dell'epidemia colerica che colpì la nostra cittadina, tanto che nella seduta consiliare del 28 settembre 1911, dal banco della maggioranza, il Consigliere Vito Di Cosolo gli rivolse parole d'encomio;
  6. partecipò al Congresso Perovinciale Socialista tenutosi in Lecce nel 1912;
  7. il 24 e 25 novembre dello stasso anno prese parte al Congresso Regionale Socialista tenutosi a Trani dove fu relatore sul 7° ordine del giorno riguardante i problemi regionali pugliesi, per la soluzione dei quali sostenne si dovesse interessare l'opera dei deputati del partito;
  8. prese parte attiva al Consiglio Collegiale Socialista che ebbe luogo in Taranto nel 1913, proponendo, in quella sede, la costituzione mdi una Federazione dei Lavoratori della Provincia. In quell'occasione fu eletto componente del comitato provvisorio; 
  9. dal 1913 fece parte della redazione del giornale in vernacolo tarantino "U Panariedde" che si pubblicava in Taranto.    
Una ultima annotazione, per meglio imquadrare la figura del Lenge nell'azione che sempre sostenne in favore dei più deboli.
Sin dal 1910, Davide Lenge, convinto che i beni civici potevano e dovevano essere gestiti in favore della collettività che ne è proprietaria, propose al Consiglio Comunale la municipalizzazione del servizio farmaceutico, la cui spesa sarebbe stata finanziata con i proventi del taglio periodico del bosco civico Serrapizzuta che, all'epoca, rappresentava una voce importante nella parte entrata del bilancio comunale.
Chiudiamo questo nostro breve escursus sull'attività politico-amministrativa di Davide Lenge, augurandoci vivamente che dalle ideologie e dagli infiniti incontri e scontri fra i partiti sorga, per questa nostra cittadina, un avvenire di concordia, e non abbiano a ripetersi certi errori commessi in passato.
Con riferimento al Lenge, ne citiamo soltanto due: 
  1. per motivi che non rientravano nella sfera dell'attività pubblica, ma che investivano la vita strettamente privata del Lenge, nel 1915 fu deliberata la decadenza da cittadino onorario del nostro comune;
  2. ad appena quattordici giorni dalla marcia su Roma e dalla firma da parte di Vittorio Emanuele III, del decreto legge che portò al potere Mussolini - un premuroso Regio Commissario l'undici novembre 1922, con i poteri della Giunta, ritenne opportuno sostituire il nome di Davide Lenge dato aa una piazza - querlla dove ora insiste il mercato coperto - con quello di Benito Mussolini, a suo dire "altamente benemerito della Nazione e che oggi è simbolo di vera e sana italianità".
In epoca successiva, la denominazione Piazza Vittorio Veneto fu la correzione all'abbaglio del Regio Commissario preso nel 1922.
L'errore del 1915, invece, fu emendato il 22 marzo 1921, ovverosia a tre anni dalla morte del Lenge, avvenuta nel 1918 in Milano - dove nel frattempo si era trasferito prestando servizio presso l'Impresa Elettrica Edison - ed a sei anni dalla revoca, il Consiglio Comunale, riconcesse a Davide Lenge la cittadinanza onoraria di Palagianello, nella considerazione del fatto che la precedente Amministrazione inconsultamente e senza plausibili motivi aveva dichiarato la decadenza dall'onorificenza a suo tempo attribuitagli.
Con quell'atto gli furono restituiti i dovuti onori.
Ne aveva ben diritto.
Innanzi a tale figura, Signori, giù il cappello.

Il clima da guerra civile che percorre la provincia ionica nel 1920

LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE SI SVOLGONO TRA FORTISSIME TENSIONI IN MOLTI COMUNI

Il clima da guerra civile che percorre la provincia ionica nel 1920

Le elezioni amministrative dell’autunno del 1920 sono precedute, anche nella Provincia Jonica, da una sequela di scioperi in prevalenza bracciantili, che danno luogo a forti tensioni e a duri scontri tra contadini e agrari.
Nel periodo compreso tra maggio e agosto dello stesso anno, occupazioni di terre si verificano a Palagianello, San Giorgio, Castellaneta, Massafra, Laterza, San Marzano guidate dalla Camera del Lavoro tarantina in dissenso con l’impostazione della lotta data dalla Direzione del P.S.I., incapace di cogliere come la perseguita prospettiva di “socializzazione delle terre” che fa proseliti nel movimento contadino settentrionale, sia in contrasto con l’aspirazione delle masse diseredate del Sud al conseguimento della proprietà di un pezzo di terra da coltivare e far produrre e con la stessa arretratezza culturale del Mezzogiorno.
In quasi tutti i comuni jonici dove si è sviluppata la protesta, si riesce a ottenere l’insediamento di Commissioni arbitrali per il collocamento della mano d’opera; ma, quando si passa a tradurre in pratica i termini dell’accordo, la reazione agraria è spietata: il “ giugno a Castellaneta, durante lo sciopero, viene ucciso un bracciante. A Statte, il giorno 9, lavoratori che si recano alle Masserie Girandola e Tafuri, sono accolti a fucilate dai proprietari. Il 3 luglio a Mottola, dopo un comizio tenuto dall’avvocato socialista Sangiorgio si forma un corteo subito disperso dall’aggressione di gruppi di giovani con a capo un militare. Gli incidenti si estendono, anche, a Massafra, Crispiano, Grottaglie, Maruggio e Avetrana. In questi ultimi due comuni non è ostacolata per la esigua presenza del numero di agenti di Pubblica Sicurezza. (Notizie più dettagliate sono riportate nell’ormai introvabile “Cafoni, arsenalotti e galantuomini” di Roberto Nistri e Luca Sardi).
Le elezioni comunali e provinciali si svolgono, dunque, in un clima incandescente ma ricco di attese. A Taranto, in linea con quanto avviene nel resto d’Italia, confluiscono nei blocchi d’ordine, in funzione antisocialista, assieme a monarchici, costituzionali, giolittiani e salandrini, l’Associazione Pro-Taranto e quella democratica – in epoca giolittiana feroci avversarie – . La sorpresa è, però, rappresentata dall’adesione al “blocco” dei Combattenti, dilaniati da lotte intestine e privi, ormai, di una propria identità.
I socialisti, dal canto loro, impantanati dall’indecisione su astensionismo ed elezionismo, sono in ogni caso su una posizione di intransigenza e di non collaborazione con i ceti borghesi: se eletti in minoranza, si dimetteranno dai vari consessi. Cosa che non faranno, considerati i lusinghieri successi conseguiti nelle votazioni: i socialisti, infatti, conquistano i municipi di Ginosa, Palagianello,  Manduria, Mottola, Grottaglie, Montemesola, Massafra e Castellaneta. Ma anche dove non vincono, la loro presenza è consistente: nel Consiglio Provinciale di Taranto siederanno due socialisti su cinque membri eletti.
La reazione della classe padronale non si fa attendere: a Taranto si tenta l’assalto alla Camera del Lavoro di Via D’Aquino ma gli aggressori vengono respinti, mentre i carabinieri fanno fuoco sulla folla provocando diversi feriti.
Più gravi i fatti che si verificano a Massafra. Qui, nel mese di luglio, circa duecento contadini erano stati licenziati dagli agrari in aperta violazione del concordato sottoscritto da entrambe le parti. Il 14 ottobre, nel corso di una manifestazione di protesta contro l’ingerenza dei governi occidentali negli affari interni della Russia, i carabinieri sparano sui dimostranti: questa volta uccidono un lavoratore socialista e ne feriscono un’altra ventina.
Sono le prime prove delle violenze della reazione antiproletaria che si svilupperà nell’anno successivo, secondo uno schema già collaudato, ad opera dello squadrismo fascista.

L’arte della tessitura nella storia di Massafra

La tintoriadi Macubbe (Vincenzo Maglio) nella Gravina di San Marco
Solo pochi giorni fa ho parlato a Massafra per presentare il libro di Mino Mottolese “Massafra sotterranea. La città nascosta”, edito da Scorpione di Taranto. Per mettere in rilievo l’importanza scientifica dell’opera, ho detto che essa si inserisce degnamente nell’innovativo filone di ricerca sugli insediamenti rupestri ed ipogeici produttivo di studi severi che da circa un ventennio vengono condotti avanti attraverso il collaudato metodo della approfondita conoscenza autoptica, che ha consentito di datare con precisione le singole cavità artificiali del villaggio di Calitri in gravina Madonna della Scala ed ha consentito di identificare col villaggio messapico e poi latino di Anxia, citato da Guidone nel suo Itinerario come tappa fra Taranto e Mottola nel XII secolo (ma Guidone attinge a fonti molto antiche), il villaggio della gravina San Marco.
Quest’ultimo villaggio dovette essere distrutto durante la feroce e sanguinosissima Guerra Gotica (535-553) fra Goti a Bizantini che alla fine riuscirono a riconquistare l’Italia, ma a prezzo della sua desolazione e spopolamento.
Un segno del saccheggio è stato dato dal rinvenimento nel villaggio di oltre una trentina di monete di IV secolo, di età, cioè, costantiniana, rimaste in circolazione, come l’archeologia ci insegna, fino a tutto il VI secolo. Del villaggio disabitato si dimenticò il nome, come dovette accadere anche per Casalrotto di Mottola, e, quando, nell’VIII secolo, tornò ad essere abitato e vi vennero insediate le importanti chiese rupestri di San Marco e Santa Marina, venne considerato una appendice della Massa Afra che già nel X secolo nei documenti è chiamata Massafra.
E’ questa dell’dentificazione di Anxia una notizia, rivelata per la prima volta in pubblico, che conferma, contro quanto ritenuto fino a poco tempo fa dagli storici generalisti che pensavano che non vi fossero stati insediamenti nell’età classica, la ininterrotta continuità dell’insediamento rupestre dalla preistoria al post-medioevo. Questa continuità è ribadita dalla presenza del villaggio rupestre magno-greco di Carrino-San Sergio, che ha restituito ceramica del VI-III sec. a. C.
Ho quindi parlato delle origini nord-africane e datato al V sec. d. C. l’introduzione di quel modello, per le abitazioni a pozzo note localmente come “vicinanze”, modello che fu produttivo fino a tutto il XVIII secolo.
L’introduzione del modello avvenne tramite i profughi ortodossi che avevano abbandonato l’Africa settentrionale occupata dai Vandali ariani, e che, guidati dal vescovo di Calama Possidio, discepolo e biografo di sant’Agostino, si insediarono in una Massa incolta che da loro fu detta Afra. Possidio, chiamato in ambiente ellenofono Posidonio, fu sepolto nella chiesa ipogeica massafrese che da lui prende nome, donde le sue ossa furono traslate nel IX secolo in Emilia dall’imperatore Ludovico II, sceso in Puglia per abbattere l’emirato arabo di Bari, e tumulate nella chiesa campestre di San Giorgio, intorno alla quale, ridedicata a lui per i prodigi che si verificarono, sorse un paese, oggi in provincia di Modena, che ha nome di San Possidonio.
Tutto quello che ho detto era suggerito dal contenuto del libro, ampio e vario, Il volume, infatti, illustrato da fotografie, mappe topografiche ed accurati rilievi, è diviso in tre ampie sezioni, la prima destinata alla descrizione delle singole cavità della Massafra sotterranea, la seconda ai Luoghi della produzione, la terza alle Necropoli. E se la prima parte è la più affascinante per il lettore comune, la seconda e la terza sono le più interessanti per lo storico dell’economia e per l’archeologo. Nella prima parte, infatti, sono descritte numerose “vicinanze”, come i complessi di Vico Torelli, contigui a Piazza Garibaldi, dai quali si accede ad una delle più imponenti ‘piramidi’ ipogeiche, correttamente interpretate dall’Autore come cave di conci calcarenitici per le costruzioni soprastanti o prossime, ma spesso si parte dalle viscere della terra per descrivere monumenti subaerei, come accade per il monastero e la chiesa di San Benedetto. La solida formazione dell’Autore, che è informatissimo sulla produzione storiografica più recente, appare già dalla copertina del libro, che riproduce l’autentico stemma civico di Massafra, riprodotto in mosaico alla fine del Settecento ai piedi dell’altare della chiesa di quel monastero. Lo stemma è spaccato in due e presenta un castello rosso con tre torri, simbolo delle città dotate di mura, ed un leone d’oro rampante, simbolo di città libera. Per l’ignoranza degli araldisti locali, tutti dilettanti nel senso deteriore del termine, già nell’Ottocento il leone fu preso per quello dei Pappacoda e lo stemma ridotto, alla fine, ad una semplice torre con tre miseri merli, quasi Massafra fosse un trascurabile casale. Sarebbe tempo che l’amministrazione comunale intraprendesse l’iter burocratico per rivendicarne orgogliosamente l’uso.
Sarebbe difficile e praticamente impossibile nello spazio di una breve recensione parlare dettagliatamente di tutti i capitoli, diremo soltanto che, nell’opera, in più parti, si demoliscono leggende metropolitane, come quella di un lungo tunnel carrozzabile che avrebbe consentito ai feudatari di raggiungere, addirittura in carrozza, partendo dal Castello, una loro lontana masseria alla Marina. Mottolese non ne ha trovato traccia, e dunque il mitico tunnel è inesistente. Non piccolo merito della storiografia seria è quello di distinguere nettamente fra informazione scientifica, basata sui documenti, e leggende create dalla fantasia popolare, anche se le leggende hanno, per la gente comune, maggior fascino della nuda verità storica.
Di ogni cavità, sito, pozzo è data con precisione l’ubicazione mediante le coordinate geografiche, sicché il lettore saprà con precisione anche in futuro, giusto per fare un esempio, dove era ubicato l’antichissimo Pozzo Salzo, recentemente e stoltamente interrato, che per millenni ha fornito l’acqua agli abitanti della Gravina San Marco ed ai viandanti che transitavano sul Ponte degli Zingari.
Ma il recensore, attento soprattutto alla storia economica, segnala l’importanza della seconda parte, dove si parla della tessitura e della tintura dei tessuti, che ebbero in Massafra importanza fondamentale fino ai primi due decenni del Novecento, quando la felpa tessuta artigianalmente a Massafra da molte centinaia di tessitori fu soppiantata sui mercati dai velluti tedeschi prodotti industrialmente, meno resistenti ma assai meno costosi, della concia delle pelli, che serviva soprattutto per la confezione di finimenti e bardature degli equini, della molitura del grano, della produzione dell’olio, dell’allevamento dei colombi in imponenti colombaie rupestri, della produzione del miele in apiari allogati in cavità della roccia. Qui si produceva il celebre miele tarantino che, secondo il poeta Orazio, non era inferiore a quello greco dell’Imetto, il più celebre miele del mondo. Per tutte queste attività abbiamo, finalmente, non fumose informazioni conservate nella memoria dei vecchi, ma solide indicazioni sui luoghi, identificati e descritti.
Per le necropoli, abbiamo la descrizione di quella magno-greca di Carrino-San Sergio, con 120 tombe a fossa e due a camera e di quelle de l’Amastuola, saccheggiate per decenni dai tombaroli (la nostra prima segnalazione del saccheggio alla Soprintendenza Archeologica risale ai primi anni Cinquanta del secolo scorso) ed i cui lembi intatti e resti di abitato sono stati recentemente scavati dall’Istituto di Archeologia della Libera Università di Amsterdam, auspice l’intelligenza di Peppino Montanaro, proprietario della masseria.
Pressoché tutte le nostre città, e non solo Roma e Napoli, ma anche centri molto piccoli conservano una loro segreta parte ipogeica in cui è rinserrato un non trascurabile spaccato della loro storia. Il bel libro di Cosimo Mottolese puo’ essere offerto come importante modello metodologico per il loro studio e la loro conoscenza.